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2010-01-05 - TOSCANA - LUNATA (LU)
EUGENIO BANI PARLA DELLA SQUADRA

Eugenio Bani parla della squadra "Cosi' mi davano di tutto"

Di seguito, senza pregiudizio, riportiamo un intervista di Eugenio Capodacqua (Repubblica.it) al ciclista Eugenio Bani
LA FONTE: Intervista a Eugenio Bani pubblicata su www.repubblica.it

LUNATA (LUCCA) - Era ed e' ancora considerato uno dei talenti emergenti del ciclismo giovanile. Una sorta di Ivan Basso in fieri, gia' inserito nella rosa azzurra. Ma Eugenio Bani, diciannove anni, pisano, fisico statuario da passista veloce, da due stagioni nel ciclismo negli "juniores", e' finito d'improvviso nel tunnel del doping. Gonadotropina corionica, un ormone femminile, usato nello sport maschile per stimolare la produzione endogena del testosterone, l'ormone della forza. Un caso grave che vale all'atleta una squalifica di 21 mesi. Ma un caso emblematico della pessima situazione in cui versa buona parte del ciclismo giovanile, nonostante anni di scandali, campioni dopati e appelli a ripulire l'ambiente partendo dalla base. Ancora oggi il pedale diventa subito sinonimo di farmacia, anche ai primissimi gradini, e resta feroce il sospetto di "trattamenti" totali, complessivi, cioe' di squadra.

Impressionante, anche volendo limitarsi al lecito, cio' che emerge dai verbali della Procura Coni: endovene, fiale intramuscolari, ricostituenti, acido folico, vitamine, antidolorifici, eccitanti, siringhe gia' confezionate e pronte all'uso conservate in frigo. Una "terapia" globale, fatta a tutta la squadra, confessa l'atleta. Una cura che comincia prima della gara (antidolorifici), si sviluppa durante - "pasticche di caffeina (una volta vietata, oggi di libero uso ndr) per il finale di corsa" assicura Bani - per concludersi al dopo gara con la cosiddetta "integrazione".

Bani cosa e' successo?
"Sono stato trovato positivo al campionato italiano l'estate scorsa e non so perche'. Non ho mai fatto alcuna cura a casa, ne' iniezioni, ne' altro; i miei genitori non sanno neppure cos'e' una medicina. Gli unici a somministrarmi qualcosa sono stati quelli della squadra".

Punture o che altro?
"Punture e pasticche, iniezioni endovenose, tutto quello che serve per recuperare, mi dicevano".

Ma lei andava da un medico molto discusso, la sua era una societa' molto chiacchierata.
"Ci andavo fino all'anno scorso e solo a fare i test".

Non le e' mai venuto un dubbio, un sospetto?
"Il fatto e' che devi fidarti della squadra (l'Ambra Cavallini Vangi, una delle formazioni giovanili piu' in vista, ndr). E poi la storia era cominciata prima, quando non avevo ancora 18 anni. Chi ci faceva piu' caso? Non puoi non fidarti percha' quello e' il sistema. Altrimenti non trovi posto ne' lì ne' in nessun'altra squadra. Sono convinto che e' cosi' in tante se non proprio in tutte le formazioni giovanili. E' il sistema che e' corrotto e ci corrompe, noi siamo costretti ad andare dietro a queste cose altrimenti non si arriva".

Sta dicendo che la responsabilita' e' dei suoi dirigenti?
"Io so solo che non ho mai assunto nulla al di fuori di quello che mi ha dato la squadra".

Come avveniva la cura?
"Una volta la settimana si andava nel ritiro di Empoli Bagnara e li' ci praticavano le iniezioni".

Chi faceva le punture?
"Un ex infermiere e un altro dirigente, responsabile della squadra".

Anche persone non abilitate alla pratica, quindi. Di che medicine si trattava?
"Dicevano che erano vitamine, venivano prese nel frigorifero, erano in siringhe gia' confezionate. Io ho chiesto tante volte cosa ci fosse dentro e sempre mi rassicuravano: ricostituenti per riprendere le forze. Alla fine uno cosa deve fare? Si fida".

Le iniezioni le faceva anche quando era minorenne?
"Si. Era normale, l''ho detto. Ma non le facevo solo io, anche gli altri compagni".

Lei e' stato interrogato dalla Procura del Coni. Ha collaborato?
"Ho raccontato tutto, ho fatto nomi e cognomi di tutte le persone coinvolte. Ma mi e' sembrato non fossero molto interessati mentre parlavo. Chi beveva qualcosa, chi era al telefono... Mi e' parso di parlare a vuoto".

Davvero incredibile un simile atteggiamento. Come lo spiega?
""Non saprei. So che dirigenti della mia squadra avevano ottimi rapporti con dirigenti della federazione".

E allora? Avrebbero preferito punire solo l'atleta? Un sospetto pesante, il suo.
"Lo so, ma la cosa non puo' non far riflettere. Io da solo non mi sono dopato".

Se fosse vero vorrebbe dire che il sistema di controllo e' manipolabile e corrotto. Una situazione senza speranza.
"No, senza speranza no. Bisogna partire da qui per rivedere tutto. Quello che e' capitato a me puo' capitare a chiunque. Sono convinto di non essere il solo ad aver assunto senza saperlo quella sostanza. Solo che io sono trovato positivo. Ma un mio compagno di squadra e' svenuto due volte in corsa; dunque queste cure non e' che facessero proprio bene".

Ora cosa fara'?
"Voglio tornare a correre. Per questo mi sono rivolto a Ivano Fanini che mi ha offerto il suo appoggio e, dopo la squalifica, vestiro' le insegne dell'Amore & Vita. Sono pulito. So di avere le qualita' giuste, voglio dimostrare che si può fare ciclismo pulito anche ad alto livello. E ci riusciro'".



Fonte Repubblica.it
di Eugenio Capodacqua

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